17 Giu L’ASSISTENTE
Claudio Magris scrive: “La disarticolazione della totalità e del grande stile classico fanno bella mostra nelle pagine de L’assistente di Robert Walser, rovesciando nella ricerca di Joseph Marti, il protagonista, l’intera incertezza che segna l’uomo novecentesco e che si riverbera nella forma romanzesca.”
Joseph Marti è un giovane disoccupato, ingenuo, fremente osservatore di tutto ciò che lo circonda e del fluire stesso dei propri pensieri, che troverà lavoro come assistente di Karl Tobler, ingegnere brillante e inventore entusiasta che non riesce a far decollare i suoi ambiziosi progetti, nonostante li consideri delle grandi occasioni dal punto di vista finanziario e per i quali ha investito, anche in modo imprudente, il suo patrimonio familiare.
I grandiosi piani di Tobler, ispirati dal sogno di un destino diverso, sono purtroppo destinati al fallimento e Marti, di fronte alla minaccia sempre più concreta di una totale rovina finanziaria, tenta in ogni modo di assistere il suo datore di lavoro nonostante l’assenza di un compenso che non arriverà mai.
Il declino della famiglia di Tobler, a cui assiste Marti, è lo specchio di una «disarmonia della vita», come l’ha definita Claudio Magris, di cui Walser è stato il disincantato e acuto osservatore, continuatore del suo proposito di «scomparire il più discretamente possibile».
Joseph Marti, come Robert Walser, è alla ricerca di se stesso e, con la sua scrittura nitida e penetrante, mette fuori gioco se stesso e il protagonista del suo romanzo.
Una riflessione sul rapporto tra l’uomo e il mondo che lo stesso Walser deve aver sentita sua anche per la natura autobiografica della narrazione.
Seelig nelle sue Passeggiate con Robert Walser riporta che lo scrittore gli confidò di come L’assistente fosse un romanzo assolutamente realistico: «Non ho dovuto inventare quasi nulla. La vita l’ha creato per me». È quindi lo stesso Walser, l’assistente che dà il titolo al suo romanzo, che quando aveva poco più di vent’anni, tra il 1903 e il 1904, lavorò come impiegato nella villa di un ingegnere meccanico.
«Come si fa a vivere senza fare delle stupidaggini? – riflette Marti – In questa casa potevo farne tante. Come andrà altrove? E come si può pensare di esistere senza bere il caffè di Tobler? In un altro posto chi mi darà da mangiare a sazietà? E con tanto agio, e con tanta varietà? Da altre parti il mangiare è monotono, tutto il contrario dell’abbondanza! E in quali letti puliti e rincalzati mi coricherò a dormire? Magari sotto un bel ponte accogliente! Piano! Oh Dio, siamo già a questo punto? E come riuscirò a respirare ancora senza la presenza di questo paesaggio, seducente anche in inverno? Che svago avrò la sera, paragonabile a quello di adesso con la cara, magnifica signora Tobler? A chi dirò insolenze? Non tutti le ricevono con garbo tanto singolare e bizzarro. Che tristezza. Come amo questa casa! Dove troverò una lampada che arda così dolcemente, dove un soggiorno così accogliente, così affettuoso, come sono le lampade e il soggiorno di Tobler? Tutto questo mi avvilisce. E che faranno i miei pensieri senza oggetti quotidiani come l’orologio-réclame, il distributore di cartucce, la sedia ospedaliera e la trivella di profondità? Sì, mi ridurrò infelice, lo so. Sono legato a questo posto, è qui che vivo. Come mi affeziono!».