16 Set SOLEDAD di Maurizio De Giovanni
Davanti al mare limpido, vastissimo e luccicante, un pomeriggio di Luglio, ho iniziato a fare amicizia con la scrittura di Maurizio De Giovanni.
Non ero molto propensa ad addentrarmi nella storia e nelle indagini del Commissario Ricciardi, ancora orfana della penna di Camilleri e del suo Salvo Montalbano che, per tanti anni, hanno accompagnato le mie estati.
Tra un tuffo al mare e una granita fredda al limone, con un po’ di sospettosità e pregiudizio, ho iniziato a leggere proprio l’ultimo libro dello scrittore napoletano, “Soledad” dedicato al Commissario Ricciardi.
Posto che non appartiene alla mia natura far paragoni o star lì a soppesare le differenze e le somiglianze tra autori, bisogna specificare che sicuramente la città immaginaria di Vigata stava a Montalbano tanto quanto la Napoli degli anni ‘30 sta a Ricciardi.
Il personaggio, difatti, è un tutt’uno con la città partenopea del 1939. Siamo abituati a figurarci Napoli sempre e solo come la città del sole, del mare, della simpatia, furbizia e generosità, seguendo un topos quasi macchiettistico, ça va sans dire, e poco realistico.
Ricciardi è un uomo silenzioso, introverso, rigido; vive in un Paese fascista ma lui non dimostra affatto di esserlo, tutt’altro.
Egli dimostra di essere fedele e dedito unicamente a sua figlia Marta ed al suo lavoro.
Tutt’intorno il mondo, la città, le persone, vanno mutando, sgretolandosi, per cambiarsi in qualcosa di non definito, di poco chiaro ma di sicuro poco promettente.
Napoli in “Soledad” sta per affrontare il Natale numero 1939, fa molto freddo, sono iniziate le prime razioni di cibo, la Germania ha invaso la Polonia e le donne sono chiamate a donare il rame per la patria; c’è molta povertà che i Gerarchi, insieme alle violenze di cui si macchiano, tentano di nascondere sotto il tappeto dell’indifferenza e di una città solo apparentemente rinnovata.
Ricciardi, con il suo braccio destro Maione, insegue il colpevole di un omicidio, porta avanti le indagini, continuando a non trovare il capo del filo, assorto com’è dai suoi pensieri e dal suo silenzio assordante.
Di contorno personaggi secondari ben delineati e caratterizzati, De Giovanni scrive figurandosi le scene non solo come abile scrittore bensì anche nelle vesti di sceneggiatore, lo si evince dai ritmi dei dialoghi e dai paragrafi sapientemente utilizzati alternativamente per esprimere i pensieri di ogni personaggio, in special modo alla fine del libro, come per chiudere la scena finale di un film.
Nel racconto il protagonista è sicuramente Ricciardi ma i suoi pensieri, le sue riflessioni sulla solitudine vengono condivise in coro da altri personaggi che, nel racconto, pur distanti e diversi tra loro per estrazione, luogo e vissuti personali, intonano un leitmotiv che fa da colonna sonora all’intera vicenda.
Tutti – a partire dalla vittima e dal suo carnefice – sono accomunati da un solo minimo comune denominatore: la solitudine, soprattutto da quella del cuore, diffusore principe di questo sentimento.
“Il cuore no. Il cuore ha il suo battito che non è quello dei minuti e continua testardo a picchiare in petto… è lui lo spargitore del fumo scuro che annebbia ogni pensiero e spinge alle decisioni che hanno senso solo per lui, per il maledetto cuore.”
(fonte immagine: www.laragione.eu)