A Casa di Lucia | LO STATUTO DELLE LAVORATRICI
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LO STATUTO DELLE LAVORATRICI

“Penso con tenerezza a quelle centinaia di ragazze, poi ex ragazze, poi madri, le nostre, che si sono messe insieme ad immaginare palazzine comuni, lavanderie collettive, asili nido, con la fiducia che il mondo le potesse ascoltare e se non a loro alle loro figlie togliere un po’ di quelle incombenze così noiose, così malinconiche, così effimere, lasciare alle loro figlie la possibilità di farsi largo nel mondo e non dover mai mai stirare; che hanno insegnato alle loro figlie “l’indipendenza prima di tutto” e le hanno spinte a diventare quello che desideravano e a renderle orgogliose forse anche lontanamente per procura e la sera ricevono telefonate da città lontane dalle loro ex bambine con la voce stanca e indisposta, che si irritano per un nonnulla, alle quali non sanno più cosa dire, che vivono sole in piccoli appartamenti che la loro indipendenza le costringe a pagare e però anche a riordinare, e a rendere accoglienti e a voler ampliare… dunque è così, è anche lì che andava a parare l’indipendenza; le abbiamo volute rendere libere e invece sono diventate – anche – amazzoni misteriosamente infelici.”

Questo è un estratto da “Lo Statuto delle lavoratrici. Come ti senti, a cosa hai diritto, dove possiamo cambiare” di Irene Soave, un’inchiesta sentimentale sul mondo del lavoro che, come scrive l’autrice, è ormai un tema cruciale su cui gravitano tutte le conversazioni di quest’epoca. Si tratta di un saggio sfidante con filo biografico e biografico-generazionale, a tratti fastidioso, pieno di domande e di concetti che possono suonarci ridondanti. Un’analisi disincantata, cruda e priva di buonismo dell’evoluzione delle lavoratrici nella storia italiana, con cui la giornalista del Corriere della Sera persegue un obiettivo dichiarato: instillare un sentimento di rabbia e ribellione nel lettore.

“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare.”  (Costituzione Art.37)

Quella in cui si imbarca Soave, però, non è un’indagine sul sentimento d’insoddisfazione, bensì su quelle che sono le normative attualmente vigenti a tutela dei lavoratori. L’autrice conduce questa indagine impugnando un testo fondamentale per il nostro Paese, ma che forse non tutti conoscono, Lo Statuto dei lavoratori, per esplorare cosa ne è del lavoro oggi, unendo la ricerca su di sé e sul campo ad uno studio delle fonti, non solo storiche, ma anche giuridiche, economiche e sociali. Il risultato è il ritratto di una società ancora impigliata negli stereotipi e che fa fatica a guardarsi allo specchio.

Il saggio scritto da Soave per Bompiani comincia da un tema-chiave, che viene affrontato nella discussione pubblica italiana con molta ipocrisia: l’età in cui si fanno le prime esperienze di lavoro, in cui ci si forma, in cui talora ci si afferma, coincide con l’età in cui si diventa mamme. Come conciliare le due cose, è la grande sfida del nostro tempo. Il divario salariale, gli stipendi insufficienti, il sistema di welfare inefficiente per conciliare il lavoro di cura con la vita professionale, gli ambienti di lavoro tossici, discriminatori e perfino molesti provocano un profondo senso di inadeguatezza e soggezione, nonché «un generale senso di mancanza di significato in quello che si fa, di delusione circa un percorso a cui ci si pensava destinate, di bruttezza e insensatezza del lavoro».                                                       

Il libro racconta storie di donne, da quella della prima “signorina ministro” Tina Anselmi a quelle delle lavoratrici domestiche, anche dette di cura (colf, badanti, babysitter), figure non pienamente riconosciute dal sistema lavorativo e contributivo, perché ancora considerate un prolungamento della vita familiare.

La scrittrice prosegue poi esplorando la distinzione fra lavoro produttivo – cioè di beni e servizi – prettamente maschile e lavoro riproduttivo – o anche emotivo, svolto prettamente dentro casa – a cui sono relegate storicamente le donne, le straniere, le povere, cioè soggettività non dominanti.       

Tocca poi i temi del burnout (esaurimento, crollo) e del quiet quitting (dimissione silenziosa), sentimenti che dilagano nella società lavorativamente attiva e che vengono considerate spie del malfunzionamento del sistema che sfocia nel “disaffezionamento” al lavoro.                                                                            

Per Soave è importante fare rete, parlare, comunicare; nel suo saggio si legge il lavoratore che parla ad altri lavoratori, la donna che parla alle donne, la donna che parla agli uomini. Il merito di Soave sta proprio in questo: mettersi occhi negli occhi con i suoi interlocutori, senza impartire lezioni, sottolineando, nemmeno tanto implicitamente, il demerito dei padri che continuano a parlare di noi e soprattutto per noi.



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