A Casa di Lucia | MIO PADRE, IL DOTT. BALANZONE: intervista alla maschera di Bologna
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MIO PADRE, IL DOTT. BALANZONE: intervista alla maschera di Bologna

Se iniziassi questa intervista presentandomi come la figlia del Dott. Balanzone, la famosa maschera del Carnevale di Bologna, probabilmente pensereste che sono una bizzarra “scrittrice” in cerca di un incipit efficace. E invece sono davvero la figlia del Dott. Balanzone grazie a un paradosso temporale per il quale, pur vivendo nel 2025, ho un padre che abita nella Bologna del XVI secolo! Se avrete la voglia di continuare a leggermi, vi racconto come questo sia possibile. 

Sono Lucia, mio padre si chiama Alessandro Mandrioli e da 35 anni interpreta il Dott. Balanzone, dotto professore dell’Università di Bologna, specializzato in legge, il cui nome deriva dal termine balanzån, ovvero bilancione, bilancia che è, appunto, il simbolo del diritto. 

Da quando ho memoria, ho in mente mio padre sui palchi del teatro dialettale con la sua perfetta parlata e la voce bassa e profonda. Ricordo che da ragazzina, quando mia madre si stancava di aiutarlo a ripassare la sua parte, mi offrivo di farlo io e così, quando mi ritrovavo seduta sulla poltrona di un teatro e mio padre saliva sul palco, sussurravo tutte le sue battute imparate a memoria, trattenendo il fiato quando arrivava a quella che dimenticava sempre e riprendendo a respirare quando il pericolo di inciampo era passato. 

Credo che una delle emozioni più forti che abbia mai provato da bambina sia stato il momento nel quale usciva dalle quinte a spettacolo finito e io sentivo il battito di mani farsi più forte e qualche voce gridare “Bravo!”. Provavo un tale orgoglio, quasi che il merito fosse, in qualche modo, mio. 

Tra una commedia dialettale e l’altra, mio padre, un giorno di quasi quarant’anni fa, divenne il Dott. Balanzone

E allora eccomi faccia a faccia con lui: vi racconterò qualcosa della maschera del Carnevale di Bologna, della mia città e del mio papà. 

Come è iniziata la tua avventura come Dott. Balanzone? Ricordi il momento in cui hai indossato per la prima volta i panni della maschera ufficiale di Bologna?

Era il 1989. All’epoca io recitavo nella compagnia dialettale “Bruno Lanzarini” ed un amico, anch’egli attore teatrale, mi disse che l’attore che interpretava allora il Dott. Balanzone doveva abbandonare per motivi di salute e mi propose di prendere il suo posto. La richiesta mi colse di sorpresa e mi presi qualche giorno per dargli una risposta anche perché mi spaventava un poco dovere tenere la mia “Tirata”, ovvero il monologo, in Piazza Maggiore davanti alle autorità e al folto pubblico, e soprattutto il fatto che a scriverlo dovessi essere io. L’entusiasmo ebbe la meglio sulla paura e così accettai. 

Dopo pochi mesi mi ritrovai, così, sul carro delle maschere ad indossare il costume di Balanzone, preso a noleggio dall’organizzazione da una nota costumeria di Bologna. Durante il tragitto da piazza VIII Agosto a piazza Maggiore mi divertivo a lanciare coriandoli e piccoli doni agli spettatori ma la mia ansia iniziò quando arrivammo sul “crescentone”, come  viene chiamata la parte rialzata di Piazza Maggiore e vidi, sul palco davanti a San Petronio, l’allora Cardinale Poma e il sindaco Renzo Imbeni. Il mio amico Piero mi faceva coraggio ma una volta avuto in mano il microfono tutta la mia ansia sparì e le parole fluirono raggiungendo autorità e pubblico. 

Ora penso di avere accettato con una grande dose di incoscienza: l’idea di interpretare la più importante maschera del Carnevale bolognese mi affascinava, non tanto per un desiderio di notorietà quanto per il fatto che Balanzone è legato profondamente alla tradizione bolognese, almeno quanto i tortellini e la mortadella 

Cosa significa per te impersonare una maschera così profondamente legata alla tradizione bolognese? Cosa rappresenta il Dott. Balanzone oggi?

Interpretare la maschera di Balanzone è, per me, una grande responsabilità perché non è possibile disgiungere la Maschera dalla città di Bologna ed io amo profondamente entrambe. 

Purtroppo le tradizioni carnevalesche, nella nostra città, si sono via via sempre più affievolite, fino a sparire (se anche quest’anno le sfilate carnevalesche non si faranno, saranno ormai cinque anni che per qualche motivo Bologna non ha più il suo Carnevale). Fino agli anni ‘60-‘70 negli ultimi giorni di carnevale ovunque si tenevano veglioni: il più sontuoso era quello che si teneva nel salone del palazzo del Podestà, organizzato dal comune.

Con il tempo, tuttavia, altri eroi hanno sostituito le maschere di Carnevale. Ti racconto un aneddoto: mi trovavo a Parma in occasione del primo raduno delle maschere italiane. Stavo passeggiando per i viali del Parco Ducale, ad un certo punto sentii provenire dal ghiaietto uno scalpiccio rapido, quasi di corsa, mi voltai e vidi una famiglia che mi seguiva: papà, mamma e due bimbi sui 5 o 6 anni. Il papà mi si avvicinò e, indicandomi, disse ai figli: “Avete visto bambini chi c’è?” Il mio sorriso però si tramutò in una smorfia quando il papà disse: “Visto? C’è Zorro!” Ho fatto fatica a rispondere a tono ma mi sono offeso moltissimo.  

Hai sempre avuto una grande passione per il dialetto bolognese. Quanto è importante per te mantenerlo vivo, e come lo trasmetti attraverso il tuo ruolo di Dott. Balanzone?

Mastico il dialetto bolognese fin da giovanissimo. In casa mia papà e il nonno lo parlavano quasi sempre ma non mi veniva insegnato perché era considerato poco opportuno esprimersi nella lingua vernacolare. 

Quando, dopo la morte di mio padre nel 1963, ragazzino quattordicenne andai a lavorare alla Ditta Natali, tutti i colleghi parlavano dialetto e così, con il tempo, ho iniziato a capirlo e poi a parlarlo finché non iniziai ad acquistare libri dialettali e a studiare.  Quando, anni dopo, ebbi l’occasione di iniziare a recitare con la Compagnia Bruno Lanzarini , potei imparare ancora di più da persone che per me erano dei “mostri sacri” del teatro e del dialetto.

A dire il vero, il personaggio del Dott. Balanzone non si esprime sempre e solamente in dialetto, ma intercala dialetto e la sua lingua forbita che include anche un latino tutto suo. Il suo dialetto deve essere bello, aperto, armonioso, potente,  così da fare comprendere e apprezzare appieno la personalità di questa maschera del teatro dell’arte.

Io parlo il bolognese intramurario quello, cioè, parlato entro la cinta delle 12 porte: è a mio avviso il più bello, il più ricco, ma nulla toglie alle parlate della periferia e dei comuni limitrofi sia di pianura che di collina. Insomma, il dialetto bolognese ha una tale ricchezza di sfumature da renderlo estremamente ricco e affascinante. 

In questi anni, ci sarà sicuramente stato un momento speciale o un evento che ti è rimasto particolarmente impresso. Qual è il ricordo più significativo che hai vissuto nei panni del Dott. Balanzone?

Momenti speciali in tutti questi anni, vestendo i panni della maschera di Bologna, ne ho avuti parecchi. Certamente i più emozionanti sono stati la visita a Roma al Santo Padre, assieme alle altre maschere italiane, lo sfilare di noi maschere sulla Rambla di Barcellona e infine la partecipazione a New York alla parata del Columbus Day proprio lo scorso autunno. Molto emozionante è stato proprio a New York, durante la parata, sentire gridare da in mezzo al foltissimo pubblico che assisteva : “Balanzàn j’èt purtè i turtlén?” (Balanzone hai portato i tortellini?).  Era la voce di una donna che non sono riuscito a vedere, ma che mi ha riempito il cuore di gioia. Chi avrebbe mai detto che, a 75 anni, proprio il mio alter ego Balanzone mi avrebbe permesso di volare dall’altra parte del mondo!

Da figlia, sono cresciuta osservandoti con ammirazione interpretare questo ruolo. Cosa speri che le nuove generazioni, inclusa la nostra famiglia, imparino dall’eredità del Dott. Balanzone?

Cosa spero dalle generazioni future? Che raccolgano l’eredità della tradizione del Carnevale e del dialetto, che rappresentano aspetti fondamentali e profondamente importanti per la nostra comunità e per la cultura in generale. 

Mi preme soprattutto che le generazioni attuali e future imparino il rispetto per il prossimo e questo sarebbe sufficiente per cambiare in meglio il mondo, se poi parleranno ancora il nostro bel dialetto ne sarò veramente felice. 

Dalla mia famiglia, visto che sono rassegnato al fatto che nessuno di voi parli il dialetto, mi auguro e spero che continuiate ad essere fieri che vostro padre abbia avuto questo onore e questa fortuna: spero che racconterete ai vostri nipoti che il loro bisnonno era quell’omone buffo tutto vestito di nero che non era Zorro.

 

Grazie Dott. Balanzone per questo racconto e grazie soprattutto a te, papà, per averci fatti crescere coccolati dalla tua voce profonda, dalla risata contagiosa del Dott. Balanzone, dalla cultura del dialetto e della città che così profondamente ami. Grazie, soprattutto, di avermi insegnato, con il tuo esempio, che i nostri talenti devono, non solo possono, essere messi a servizio della comunità in cui viviamo, per intrattenere come tu sai fare ma, soprattutto, per arricchire le generazioni presenti e quelle future. E tu, lo scrivo orgogliosa anche se non imparziale, lo fai con una grazia che anche oggi, che di anni ne ho quasi 50, ancora mi commuove. 



× Ciao!