
04 Apr “Tutti gli indirizzi perduti” di Laura Imai Messina
“Fin da bambina, le era stato chiaro che le magie più strabilianti avvengono proprio tra sconosciuti e funzionano tanto più essi rimangono tali.”
Da quando l’ho scoperta, Laura Imai Messina è un ponte di parole che unisce culture diverse: attraversarlo per mezzo dei suoi libri ti porta direttamente in Giappone, ti fa immergere in quei luoghi, in quella lingua, in quella cultura dai modi e dalle usanze tanto diversi e affascinanti. E ad ogni romanzo si scopre qualcosa di loro e qualcosa di noi.
In “Tutti gli indirizzi perduti“, pubblicato ad ottobre 2024, la scrittrice ci porta ad Awashima, una piccola isola nota per il suo speciale ufficio postale. Qui, infatti, non passa la normale corrispondenza, ma arrivano tutte quelle lettere spedite a nessun indirizzo, anzi, indirizzate proprio all’Ufficio postale alla deriva per mettersi in comunicazione con qualcuno o con qualcosa che altrimenti sarebbe impossibile raggiungere. Seguendo la protagonista, Risa, prendiamo aerei e battello per approdare in questo piccolo lembo di terra e leggere queste semplici missive dirette all’inventore del phon, al giocattolo caduto nel fiume, al figlio morto, alla ragazza incrociata in stazione… Risa, figlia del postino di Kamakura, è cresciuta nel culto delle lettere, cullata dalla voce del padre che le leggeva quelle prive di indirizzo salvate dal macero e ancora custodite in una sacca; ma è anche una giovane donna cresciuta attorno ad una ferita, come un albero che disegna i suoi cerchi attorno ad un nodo. Pian piano, nei suoi pellegrinaggi per la piccola isola, nel delicato rapporto di fiducia che si instaura con i suoi abitanti, giorno dopo giorno, lettera dopo lettera, conosciamo meglio questa giovane donna e il suo tormento. Un dubbio che la attanaglia, un mistero legato a sua madre e a delle lettere, perdute, indirizzate proprio a lei. Dall’incapacità di chiedere per non ferire, dalla chiusura di tutta una vita, arrivata ad Awashima Risa si aprirà al tocco gentile di questi sconosciuti, cullata dalla natura e dai suoi rumori. E finalmente, a poco a poco, parlerà di sé, soprattutto con il giovane Takuto, con cui il rapporto si intensificherà. Lui che gestisce il ristorante locale e che sarà per lei nutrimento non solo fisico. E sempre sullo sfondo, sempre protagoniste, sempre presenti le lettere di sconosciuti, come un tappeto su cui camminare, come un sentiero che conduce alla verità e alla pace.
Come un cerchio, la fine del romanzo si ricollega al suo inizio, anche questa volta con una lettera, ma stavolta non è per una sconosciuta: la lettera è per lei, Risa, e allo stesso tempo non è per lei. È per una lei bambina che ora non c’è più, ma in quel ricordo potrà ridisegnare i contorni di immagini sbiadite della sua memoria e riappropriarsi di un pezzo di sé.
E questa pace che trasmette, alla fine, è la stessa che si prova leggendo. La stessa che ci afferra al pensiero delle mille lettere che potremmo spedire ad indirizzi ignoti, per colmare un vuoto, per chiedere, per spiegare, per ringraziare, per poter ancora una volta sentirsi insieme: alla mia compagna di banco delle scuole elementari; al gatto arancione che ha bussato alla mia porta ma che ho dovuto portare al gattile; all’uovo alla coque preparato da mio nonno; alla sconosciuta che mi ha indicato la strada in un paese lontano; a mio padre, ovunque sia adesso…