A Casa di Lucia | Sua magnificenza “Il Panzerotto”: tradizione e storia famigliare
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Sua magnificenza “Il Panzerotto”: tradizione e storia famigliare

Un giorno come tanti, quando avevo 4 anni, mia nonna (Mamma Carla) e mia madre (Eleonora), mi proposero di aiutarle in cucina a preparare uno strano impasto appiccicoso. Conservo una foto iconica di quel momento in cui, presa dall’euforia della nuova scoperta, avevo cominciato a sottrarre pezzi di impasto a mia nonna, meritando occhiatacce torve e, secondo lei, indicative di un imminente rimprovero. Il tutto sotto lo sguardo divertito di mia madre che si accingeva a farmi scoprire una vera delizia della nostra tradizione: il panzerotto.

Sicuramente entrambe ne avevano preparati anche prima di allora, ma quello, per me, è il primo e più bel ricordo in assoluto. Perciò tra occhiatacce e risate senza farsi vedere, quel giorno Mamma Carla, la mia nonnina, mi ha fatto scoprire il meraviglioso mondo della cucina.

Come sempre ogni odore riporta a dei ricordi: a me accade con il panzerotto, tutte le volte che lo facciamo. Prima eravamo sempre in tre a impastare, stendere, farcire, friggere ed assaggiare. Adesso siamo io e mia madre, ma sempre e solo noi, come se in un accordo tacito fosse rimasto un momento solo nostro da regalarci. Beh, forse sono ingiusta, mia nonna continua a suo modo ad esserci attraverso i grembiuli che noi indossiamo, l’oliera riposta sul ripiano della mia cucina, e quell’odore inconfondibile che mi riporta a lei.

Le tradizioni culinarie hanno questo potere incredibile di ricongiungerci con coloro che non ci sono più, anzi sono passati dall’altra parte, ed in quel modo si palesano a noi. La Pasquetta appena trascorsa l’abbiamo vissuta friggendo i panzerotti, seguendo la tradizione classica barese.

Quante simpatiche discussioni con una delle mie zie, anche lei diventata vento, che invece si ostinava a farcire i panzerotti con la carne; oppure con Zia Marcella che li voleva esclusivamente con la ricotta squanta, ovvero la ricotta forte, una crema a base di ricotta morbida e spalmabile dall’odore e dal sapore molto intenso, ma che per noi bambini non andavano bene. Era ed è uno spasso preparare i panzerotti in casa mia, ma anche mangiarli, facendo la corsa a chi prende quelli più caldi, a chi mangia gli sfrizzoli fritti (rimasugli esterni derivati dal taglio con la rondella), oppure a chi mangia quelli rimasti la mattina dopo, perché freddi sono ancora più buoni.

La discussione più bella la vivo da venticinque anni a questa parte, perché in base ai luoghi di provenienza il nome del panzerotto cambia: calzone a Lecce, calzoncello in Lucania, pizza fritta in Campania.

Il panzerotto è indiscutibilmente il fiore all’occhiello del patrimonio enogastronomico pugliese, rivisitato in tutte le salse ma da sempre preferito nella sua ricetta originale. La tradizione ufficiale colloca la nascita del panzerotto a Bari nel XVI secolo. Il pomodoro aveva da poco fatto la sua comparsa sulle nostre tavole e la sua predilezione a sposarsi con la mozzarella ha dato l’idea a un’ignota massaia. Presa la pasta del pane, la nostra ignota pioniera della cucina ha poi mescolato pomodoro e mozzarella e farcito la pallina di pasta per poi immergerla nell’olio. Il piatto è così diventato un’alternativa economica e prelibata sulle tavole dei poveri. 

L’idea geniale dell’ignota massaia pioniera della cucina fu quella di richiudere il ripieno nella pasta, per evitare che tutto si spappolasse nell’olio bollente. Notò allora che le sue creazioni assunsero la forma di mezzelune tonde e decisamente panciute. Venne coniato allora il termine “panzerotto” che deriva da “panza”, termine semi dialettale meridionale per indicare la pancia gonfia.

Il panzerotto vuole al suo interno la mozzarella, il pomodoro, il formaggio, mescolati tra di loro dopo un processo di lenta sgocciolatura. La pasta richiede farina, acqua tiepida, lievito, un pizzico di sale e un ambiente tiepido in cui lievitare. A Bari, la pasta si lavora aggiungendo un po’ d’olio o di latte o addirittura di patata schiacciata, per aumentarne la croccantezza o la morbidezza a seconda dei gusti. Nel barese la base della farcitura tradizionale si può modificare con prodotti tipici, primo fra tutti la cima di rapa, bollita o stufata e messa nel panzerotto. 

Una volta pronti, i panzerotti sono serviti caldi, per godere appieno della loro irresistibile bontà. Il primo morso è un’esperienza divina, un trionfo di sapori che si fondono in una sinfonia gustativa. Il dolce del pomodoro si unisce alla cremosità della mozzarella, mentre la consistenza croccante si contrappone alla delicatezza del ripieno.

Il panzerotto rappresenta l’anima di una terra che si nutre di tradizioni e genuinità. È un tesoro culinario che incarna l’amore per i sapori autentici e la cura per la qualità degli ingredienti. Ogni singolo dettaglio, dalla consistenza perfetta della sfoglia alla combinazione di sapori equilibrati nel ripieno, rivela l’impegno e l’arte che si nascondono dietro questa prelibatezza. Quando si degusta un panzerotto si sperimenta l’elevazione dei sensi, il connubio tra la perfezione artigianale e l’aroma avvolgente del cibo. È un’esperienza che coinvolge tutti i sensi, dalla vista che ammira la sua doratura invitante, al profumo che si diffonde nell’aria, fino al suono caratteristico della croccantezza che si avverte al primo morso.

Personalmente il panzerotto, dalla realizzazione alla degustazione, rappresenta perfettamente l’idea di famiglia, quella presente e quella divenuta vento. L’odore e la consistenza mi ricordano il profumo di mia nonna e quella continua carezza che si trasformava in leccornie da mangiare. Ma è anche il legame più stretto con mia madre, quindi in qualche modo un legame forte con le origini, che sono fatte di odori, sapori e tradizioni.

 

Questa ricetta, così strettamente legata per la nostra blogger ad una tradizione familiare che percorre la linea femminile, riporta alla mamma e quindi fa parte di un fil rouge dedicato a questa fondamentale figura della nostra vita. Seguite i link sotto per leggere gli altri articoli del fil rouge:

https://www.acasadilucia.org/2024/05/13/dove-non-mi-hai-portata-di-maria-grazia-calandrone/

https://www.acasadilucia.org/2025/05/11/note-di-madre/

 



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