A Casa di Lucia | LA SAGA DEI FLORIO
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LA SAGA DEI FLORIO

Palermo è stata capitale cosmopolita in una sola occasione, insieme a Parigi, Londra e Vienna, senza aver bisogno di nulla, riuscendo a splendere di luce propria.
L’occasione le fu donata dalla famiglia Florio.
Ho conosciuto la storia dei Florio per la prima volta per puro caso, guardando un programma su Rai Storia sulle bellezze della Sicilia.
Non sapevo che il nostro Sud avesse avuto una famiglia la cui storia fosse degna delle saghe raccontate dai trovatori delle chansons de geste medievali, tanto in voga, per restare in argomento, anche alla corte dei miracoli federiciana.
Stefania Auci, scrittrice palermitana, ha tratto dalla loro parabola due bellissimi romanzi che definire storici risulterebbe riduttivo, considerati l’intreccio umano e psicologico che ne tratteggia.
I personaggi risultano così ben caratterizzati e fedeli alla verità storica da riuscire perfettamente nell’obiettivo: rendere l’idea di quanto ambiziosa e leggendaria sia stata la storia umana di questa famiglia.

I Florio sbarcano a Palermo da Bagnara Calabra alla fine del 1799, poverissimi: non hanno nulla se non tanta ambizione, voglia di emergere, riscatto e tanta rabbia.
Partono insieme Ignazio e Paolo Florio, quest’ultimo con anche la moglie Giuseppina, decisi a commerciare spezie e aprire insieme una “puteca”, un negozio con il quale emergere dalla povertà.
Attraverso le strade di Palermo è possibile seguire le vicende della leggendaria famiglia.
La storia dei Florio a Palermo inizia in via dei Materassai.
Palermo, poco accogliente e indolente, faticherà ad accettarli e Giuseppina faticherà ad accettare quel nuovo posto, quella nuova vita, attaccata com’era alle rovine della vita precedente.
La sua rabbia monterà tutta una vita verso il marito Paolo, arginata solo dall’affetto per il figlio Vincenzo, che, arrivato ancora bambino nella città siciliana, vi crescerà tra i vicoli, la fatica della puteca e lo studio impostogli dallo zio Ignazio.
Il piccolo Vincenzo si impegnerà tutta la vita, seguendo i consigli dello zio, in mille avventure pur di emergere e far crescere Casa Florio, diventerà grande con il solo obiettivo di riuscire, pur di non sentire i Gattopardi mormorargli alle spalle, conscio di essere considerato “u putiaru”, il negoziante.
Impossibile non rivedere in Vincenzo una somiglianza straordinaria con Mastro don Gesualdo nella sua sete di ricchezza e riscatto sociale e anche con il Consalvo de “I Vicerè” nel destreggiarsi tra fini intrighi e giochi politici: sempre con il fine di surclassare chiunque si creda migliore di lui.
L’amore ingiusto e appassionato verso Giulia è reso in modo così realistico dalle pagine scritte dalla Auci da non riuscire a non empatizzare con questa donna così paziente, tenace e moderna per i suoi tempi e, non meno di Vincenzo, ostinata.

Gli uomini, come e anzi quanto le donne di questa famiglia, emergono come carne viva, le cui passioni e ambizioni ci sono state tramandate attraverso non solo le pagine della romanziera Auci ma soprattutto attraverso opere d’arte.
La bellissima Donna Franca Florio, moglie di Ignazio jr, nota durante la Belle Epoque per eleganza e bellezza, veniva descritta dalle cronache di quegli anni come donna ammirata persino dal Kaiser Guglielmo II, Francesco Giuseppe – imperatore d’Austria – e Gabriele d’Annunzio.
Fu il famoso ritrattista Giovanni Boldini ad immortalarla in un dipinto che fece non poco scalpore.

L’opera finì al centro di alcune vicissitudini storiche (passato alla collezione del barone Maurizio di Rothschild, il quadro venne depredato durante il secondo conflitto mondiale dai tedeschi e danneggiato, per poi tornare ai Rothschild) e come scriverà Leonardo Sciascia in ‘Nero su nero’: “ (…) racconta Dario Cecchi, biografo di Baldini, che Ignazio Florio andò su tutte le furie: non intendeva affatto veder ritratta la propria moglie in una posa serpentina”, così che il pittore la ritoccò “obbedendo alle contestazioni del committente ma, a quanto pare, con una certa trasandatezza”.

Per quanto la storia li porterà a creare bellissimi palazzi nella Palermo che domineranno, è nella loro prima abitazione, la casina che si trovava in Via dei Materassai alla Vuccirìa, sopra la bottega nella quale lavoravano all’inizio Paolo e Ignazio senior, che campeggiava quella che sarebbe stata un po’ la loro epigrafe: un leone, o per meglio dire un “Leo bibens”, riprodotto nella targa d’ingresso.
Un leone febbricitante che beve da un rigagnolo l’acqua scorrente lungo la radice degli alberi di china. E proprio il chinino era un antipiretico che, finemente molito, si vendeva presso la bottega Florio e che fece il loro successo.
Ipse Dixit (“l’ha detto egli stesso”).



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