A Casa di Lucia | RITORNO A BARAULE
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RITORNO A BARAULE

Dopo anni, passati in continente a salvare “dei bambini con il cuore guasto”, Carmine Pullana torna al paese di origine per capire finalmente chi è davvero e morire in pace.

La sua storia comincia la notte in cui, negli stagni di Baraule viene ritrovato il corpo di Sidora Molas e, nella rete da pesca, il pescatore Martine Ragas trova impigliato quello che sembra “un coniglio scuoiato, una spugna rossa inzuppata di sangue” e invece era un neonato.

Martine lo strappa a morte certa e lo porta a sua sorella Battistina, che se ne prende cura fino alla decisione di Martine stesso di venderlo ad una famiglia abbiente, che non aveva potuto avere figli propri.

L’amore e la dedizione della famiglia Pullana non riescono a tenere il ragazzo al riparo dalle maldicenze dei suoi coetanei, dalla loro cattiveria e, soprattutto, dalle domande incalzanti che Carmine cova in sé stesso.

Quando ormai poco gli resta da vivere, ripercorre a ritroso il suo passato fino a conoscere le proprie origini, ma mai la vera storia della nascita.

Ritorno a Baraule è un vero e proprio viaggio, in una Sardegna moderna, eppure ancora fatta di violenza, vendetta, amore e morte. Spiccano, fra le altre figure, quelle di Sidora Molas e Ilaria Arghentu, capaci di decidere per se stesse e per il proprio destino.

Prima di decidere di tenersi in pancia la sua creatura fino all’ultimo mese, (Sidora) aveva già abortito due volte, rischiando di morire tra i ferri a casa di Pietrina Cisnegas, la maestra che aiutava i bambini a nascere e morire. Allora aveva avuto paura del marito, che non c’è cosa peggiore della rabbia di un balente che sa di essere impotente e sposa la più bella del paese solo per fare invidia agli amici e avere una serva in casa.

(Dopo averlo condotto a casa propria per raccontare quel che sa della sua nascita, Ilaria si rivolge a Carmine) “Non si preoccupi di quel che penserà la gente quando la vedrà uscire di qui, che tanto io sono di scorza dura, non mi faccio venire il sangue cattivo come la buonanima di Tottoi!

La scrittura di Niffoi è cruda, a volte persino violenta e non sempre risulta agevole comprendere le espressioni e le parole in lingua sarda; le espressioni eleganti e ricercate si accompagnano a descrizioni a volte crude e sembra che lo scopo primario dell’autore sia complire il lettore, fino a sconvolgerlo, con fatti e storie arcaiche. 

Corre, la scrittura, fra passato e presente, fra ciò che Carmine ascolta e ciò che ha vissuto, fra i ricordi di un’infanzia avvelenata da bugie e maldicenze e un presente di lotta contro il tempo, per sapere la verità prima che il cane che aveva dentro se lo porti via. 

Corre la scrittura, raccontando tanto minuziosamente quel che accade. Persino i suoni diventano parole, come quando Ilaria Arghentu racconta i balli con il marito e la musica si posa sulla carta: Tarararà tarararà tarararà o ancora quando sono le nuvole a rovesciare acqua a ciccheronate prima di salire leggere sulla cresta dei monti. Trìchili bruun, trìchili bruun, trìchili bruun.

Il romanzo racconta storie nella storia, il vissuto di coloro che Carmine incontra nel suo cammino di ricerca: ciascuno dà una diversa ricostruzione di quel che accadde e ciascuno racconta la propria storia prima di ogni altra.

Alla fine, Carmine saprà chi è, senza tuttavia conoscere da dove è venuto.



× Ciao!