A Casa di Lucia | FURTO DI LIBRI
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FURTO DI LIBRI

Eh sì! Purtroppo è un fenomeno di cui si sa e si parla poco, ma che esiste da sempre. Già nel XVI secolo, Papa Pio V si vide costretto a emanare una bolla con cui intimava la scomunica per coloro che avessero trafugato manoscritti dai monasteri.

Oggi i dati, soprattutto in Italia, sono piuttosto frammentari, probabilmente perché i librai sono reticenti a diffonderli, per timore che l’ammissione dei furti subiti, possa incoraggiare altri ladri all’azione.

Oltreoceano, invece, già da un po’ di tempo studiosi o semplici appassionati si occupano della questione, arrivando a stilare delle classifiche dei libri che vanno maggiormente e “letteralmente” a ruba. Non tutte le classifiche riportano gli stessi titoli, ma ci sono alcuni ricorrenti.
In testa ai “best-stolen” troviamo le opere di Charles Bukowski e William S. Burroughs, a seguire “Sulla strada” di Jack Kerouac. Chiudono il quintetto “Il grande Gatsby” di F. Scott Fitzgerald e opere varie di Ernest Hemingway. Moltissimi anche i fumetti e tra gli altri volumi preferiti c’è la trilogia di New York di Paul Auster.
Tra i più gettonati in Italia: dai Meridiani a Italo Calvino, passando per i volumi di fotografia, testi universitari ma anche le novità editoriali di cui tutti parlano.


Per quanto riguarda il ladro “tipo” non c’è un identikit univoco ma ci sono alcuni segnali che allertano i librai: ad esempio clienti con zaini e borse voluminosi e che si chinano spesso tra gli scaffali sono i primi a essere tenuti d’occhio.


Per prevenire i furti alcune librerie si avvalgono di vigilanti, altre appongono adesivi magnetici antifurto, ma tutte queste premure non bastano. Chissà che a qualche libraio non venga voglia di mettere in pratica un antico rimedio: nel Medioevo, quando i libri erano beni preziosissimi, i tomi erano letteralmente incatenati alle mensole nelle biblioteche…


Rubare libri sembra essere un piacere riservato soprattutto agli intenditori, a quelli che l’editore Vanni Scheiwiller definiva «libridinosi». Il più famoso è un uomo inglese che ha studiato a Cambridge, William Jaques, anche conosciuto come “Tome Raider”. Negli anni ha rubato volumi antichi e rari per un valore di oltre un milione di sterline. Il suo primo colpo clamoroso furono i Principia Mathematica di Isaac Newton a cui seguirono il Sidereus Nuncius e i Dialoghi di Galileo, i libri di Keplero, Copernico, Malthus e Adam Smith. Ovviamente in edizione originale.

In Italia invece, un uomo di Dolo è stato denunciato per il furto di 1100 volumi per un valore di 80 mila euro. «Sapevo di sbagliare, non riuscivo a smettere; sognavo una biblioteca tutta mia», così si è giustificato l’uomo.

Tornando al Medioevo, nel corso del tempo neanche le bolle papali sortirono più effetti, e si provò allora con le maledizioni. Alberto Manguel in “Una storia della lettura” ne cita una presente nella biblioteca del Monastero San Pedro de las Puelles di Barcellona: «A colui che ruba un libro, o lo sottrae senza poi restituirlo: che le sue mani si cangino in serpente, e lo stritolino nelle loro spire. Che egli sia colpito da paralisi, e che tutte le sue membra esplodano.
 Che si strugga nelle pene invocando la misericordia, e che la sua agonia non cessi fino a che il suo corpo non sarà dissolto. Che i tarli gli rosicchino le viscere, come il verme che mai non muore. E, quando infine arriverà il momento del giudizio, che le fiamme dell’Inferno lo consumino in eterno».

Ma la lotta contro il ladrocinio di libri, come sa chiunque ne abbia prestati senza rivederli mai più, non era appannaggio solo di biblioteche e istituzioni, era un pericolo avvertito da chiunque ne possedesse. In Notes on Bibliokleptomania (New York, 1944) Lawrence S. Thompson racconta che spesso le maledizioni erano scritte direttamente sul libri dai proprietari medesimi. Questa è stampigliata su un volume di epoca rinascimentale: «Vedi qui scritto il nome del mio padrone: guardati dunque dal rubarmi; perché se lo fai il tuo delitto sarà da me punito senza fallo. Guarda qui sotto la figura di un ladro impiccato; pensaci bene quindi e fermati in tempo, se non vuoi pendere da una forca».


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