A Casa di Lucia | ORIANA FALLACI
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ORIANA FALLACI

“La libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere. Ma il niente è da preferirsi al soffrire? Io perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente.”
In quest’articolo ci occuperemo di una grande donna: Oriana Fallaci, giornalista, scrittrice e attivista italiana.
È difficile riuscire a descrivere una figura come la sua. Lo studio della sua biografia (Firenze, 29 giugno 1929 – Firenze, 15 settembre 2006) è qualcosa di davvero eccezionale.
Come scrittrice, con i suoi dodici libri ha venduto circa venti milioni di copie in tutto il mondo e tutto ciò che la riguarda sembra intriso di forza, di coraggio e di grandissima personalità. Il rettore del Columbia College di Chicago, Mirron “Mike” Alexandroff, in occasione del conferimento della laurea ad honorem la definì “uno degli autori più letti e amati del mondo.”
Di lei basta menzionare solo alcune opere per percepirne la forza intellettuale politica e comunicativa: Lettera ad un bambino mai nato, Inshallah, Il sesso inutile, Un uomo, La rabbia e l’orgoglio, La forza della ragione.
Per questo, cercherò di limitare la mia libera interpretazione, raccontandola attraverso le notizie che ho recuperato su di lei. Del resto, la Fallaci è stata una grandissima giornalista e, addirittura, si è letteralmente ‘auto intervistata’ nel best seller Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci, volume uscito nel mese di agosto 2004 per i lettori del Corriere della sera e venduto in 800.000 copie nella sola estate!
Partecipò giovanissima alla Resistenza italiana e fu la prima donna italiana ad andare al fronte in qualità di inviata speciale. Fu una grande sostenitrice della rinascita culturale ellenica e conobbe le più importanti personalità di questa, tra cui Alexandros Panagulis col quale ebbe anche una relazione.
Durante gli ultimi anni di vita fecero discutere le sue dure prese di posizione contro l’Islam, in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001 a New York, città dove viveva.
Oriana era la figlia primogenita di Edoardo Fallaci, artigiano, e di Tosca Cantini, casalinga. In famiglia erano quattro sorelle: Oriana, Neera e Paola, anch’esse giornaliste e scrittrici, ed Elisabetta, figlia adottata. Il padre fu un attivo antifascista che coinvolse la figlia, giovanissima, nella resistenza col compito di staffetta. La giovane Oriana si unì così alle Brigate Giustizia e Libertà vivendo in prima persona i drammi della guerra: nel 1944, durante l’occupazione di Firenze da parte dei nazisti, il padre fu catturato e torturato a villa Triste dai fascisti e in seguito rilasciato, mentre lei fu impegnata come staffetta per trasportare munizioni da una parte all’altra dell’Arno attraversando il fiume nel punto di secca dal momento che i ponti erano stati distrutti dai tedeschi. Per il suo attivismo durante la guerra ricevette, nel dopoguerra, un riconoscimento d’onore dell’Esercito Italiano.
Dopo aver conseguito la maturità presso il Liceo Classico “Galileo”, si iscrisse alla facoltà di Medicina presso l’Università di Firenze. Dopo un breve passaggio a Lettere, lasciò l’università per dedicarsi al giornalismo, esortata in particolare dallo zio Bruno Fallaci, egli stesso giornalista. Conobbe anche Curzio Malaparte, che considerò come un suo maestro.
Esordì, ancora studentessa, al Mattino dell’Italia centrale, quotidiano fiorentino d’ispirazione cattolica, dove si occupò di svariati argomenti, dalla cronaca nera, alla cronaca giudiziaria al costume. Ma quando si rifiutò di scrivere un articolo contro Palmiro Togliatti, come le aveva ingiunto il direttore, il quotidiano interruppe la collaborazione. Successivamente si trasferì a Milano, dove iniziò a lavorare al settimanale Epoca di Mondadori allora diretto da suo zio Bruno Fallaci che, per non favorirla, la tenne chiusa in redazione a limare e correggere gli articoli dei collaboratori, per poi affidarle le cronache sulla allora nascente Alta Moda Italiana come inviata alla prima storica sfilata del 1952 presso la Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze.
Nel 1951, quando aveva 22 anni, venne pubblicato il suo primo articolo per L’Europeo. Tre anni dopo, quando lo zio Bruno fu licenziato da Epoca, anche Oriana lasciò il settimanale (1954) per collaborare con l’Europeo dove rimase fino al 1977. Erano gli anni della dolce vita e per il settimanale si trasferì a Roma, centro della cronaca mondana dell’epoca. Nel luglio 1956 Oriana Fallaci giunse per la prima volta a New York per scrivere di divi e mondanità. Da quest’esperienza trasse il materiale per il suo primo libro, I sette peccati di Hollywood, dove racconta i retroscena della vita mondana del jet set.
Di ritorno da Hollywood, la Fallaci incontrò Alfredo Pieroni, corrispondente da Londra per La Settimana Incom illustrata, con cui ebbe una relazione e nel 1958 scoprì di aspettare un figlio da lui. Ma nel maggio 1958, a Parigi, ebbe un aborto spontaneo e lei stessa rischiò la vita. Il 28 giugno si recò a Londra per incontrare per l’ultima volta Pieroni e chiudere la relazione con lui. In piena depressione, tentò il suicidio ingerendo una grande quantità di sonniferi…
Gli anni sessanta sono quelli che definirei di maggiore produzione e creatività della scrittrice. Personalmente quando penso all’immagine di una donna di quel periodo ho davanti agli occhi esattamente la sua fotografia.
Ed infatti, nel 1961 Oriana realizzò un reportage sulla condizione della donna in Oriente, che fu il suo primo successo editoriale, Il sesso inutile. Nel 1962 uscì Penelope alla guerra, la sua prima opera narrativa. Nel 1963 pubblicò Gli antipatici, un’antologia di ritratti al vetriolo di personaggi famosi del cinema e della cultura intervistati per l’Europeo.
Alla vigilia dello sbarco statunitense sulla Luna, la Fallaci partì per gli Stati Uniti per andare a intervistare astronauti e tecnici della NASA. Nel 1965 pubblicò il libro Se il sole muore, diario di quest’esperienza che la scrittrice dedicò a suo padre.
Nel 1967 si recò in qualità di corrispondente di guerra per L’Europeo in Vietnam. Ritornerà nel paese dell’Indocina dodici volte in sette anni raccontando la guerra criticando sia Vietcong e comunisti, sia statunitensi e sudvietnamiti, documentando menzogne e atrocità, ma anche eroismi e umanità di un conflitto che la Fallaci definì una sanguinosa follia.
Le esperienze di guerra vissute in prima persona vennero raccolte nel libro Niente e così sia pubblicato nel 1969.
A metà del 1968 la giornalista lasciò provvisoriamente il fronte per tornare negli Stati Uniti a seguito della morte di Martin Luther King Jr. e di Bob Kennedy e delle rivolte studentesche di quegli anni.
In un passaggio di Niente e così sia irride «i vandalismi degli studenti borghesi che osano invocare Che Guevara e poi vivono in case con l’aria condizionata, che a scuola ci vanno col fuoristrada di papà e che al night club vanno con la camicia di seta».
Il 2 ottobre 1968, alla vigilia dei Giochi olimpici, durante una manifestazione di protesta degli studenti universitari messicani contro l’occupazione militare del campus dell’UNAM, oggi ricordata come il massacro di Tlatelolco, la Fallaci rimase ferita in Piazza delle tre culture a Città del Messico da una raffica di mitra.
Morirono centinaia di giovani (il numero preciso è sconosciuto) e anche la giornalista fu creduta morta e portata in obitorio: solo in quel momento un prete si accorse che era ancora viva.
La Fallaci definì la strage «un massacro peggiore di quelli che ho visto alla guerra».
Come corrispondente di guerra seguì anche i conflitti tra India e Pakistan, in Sud America e in Medio Oriente.
Nel 1969 tornò negli USA per assistere al lancio della missione Apollo 11: il resoconto di quell’esperienza è raccolto nel libro Quel giorno sulla Luna pubblicato nel 1970. Intervistò anche il comandante dell’Apollo 12, Charles Conrad, alla vigilia del suo lancio.
L’intervista fu occasione per un simpatico episodio.
Espresse il dubbio che tutte le frasi degli astronauti, inclusa la celebre “È un piccolo passo per un uomo…” di Armstrong fossero decise a tavolino dalla NASA.
Conrad le assicurò di no, e scommisero una bottiglia di liquore. Scendendo sulla Luna Conrad stupì il controllo missione esclamando “Whoopie! Man, that may have been a small one for Neil, but that’s a long one for me”. Ovvero “Heilà! Ragazzi, sarà stato un piccolo passo per Neil, ma è bello lungo per me!” (Conrad ironizzava sulla propria bassa statura). La Fallaci pare non abbia pagato la bottiglia, ma regalato a Conrad un abbonamento a Playboy. Conrad portò sulla Luna una foto della Fallaci bambina.
Il 22 agosto 1973 conobbe Alexandros Panagulis, leader dell’opposizione greca al regime dei Colonnelli, che era stato perseguitato, torturato e incarcerato a lungo. Si incontrarono il giorno in cui egli uscì dal carcere: ne diventerà la compagna di vita fino alla morte di lui, avvenuta in un misterioso incidente stradale il 1º maggio 1976.
La scrittrice gli dedicò il libro Un uomo nel quale denuncia l’incidente come un vero e proprio omicidio politico.
La morte dell’amato compagno segnò indelebilmente la sua vita.
Secondo quanto scrisse, rimase incinta del patriota greco, ma poi ebbe un aborto spontaneo, il secondo o il terzo della sua vita…
Dalla vicenda della maternità mancata trasse il libro Lettera a un bambino mai nato, il primo libro che non nacque da un’inchiesta giornalistica. Fu un grande successo editoriale con 4 milioni e mezzo di copie in tutto il mondo.
La Fallaci oltre all’attività di reporter ha fatto interviste con importanti personalità della politica, le analisi dei fatti principali della cronaca e dei temi contemporanei più rilevanti.
L’intervista con Khomeini fu la più celebre: durante l’intervista, gli rivolse domande dirette, lo apostrofò come «tiranno» e si tolse il chador che era stata costretta a indossare per essere ammessa alla sua presenza, dopo che l’ayatollah, alle incalzanti domande sulla condizione della donna in Iran, disse che la veste islamica era per donne “perbene”, e se non le andava bene non doveva metterla; l’ayatollah abbandonò la stanza e terminò l’intervista il giorno dopo. L’irritato Khomeini fece riferimento alla giornalista in un discorso successivo, chiamandola “quella donna” e indicandola come esempio da non seguire.
L’equivoco fu occasione di un ulteriore episodio assai originale.
Infatti, il giorno prima di incontrare l’imam la Fallaci fu costretta a un matrimonio temporaneo sciita (cioè annullabile automaticamente dopo un termine prefissato) con il proprio interprete. Difatti un mullā la vide mentre si cambiava i vestiti per mettersi il chador nel palazzo di Qom, e nella stessa stanza vi era l’interprete (sposato con una spagnola), ma secondo la legge in vigore in Iran un uomo non può appartarsi con una donna che non è sua moglie, altrimenti si rischia la condanna a morte per adulterio. Lo stesso mullā, addetto al “matrimonio riparatore”, sbagliò i nomi dei due “sposi” e, paradossalmente, la Fallaci fu quindi “sposata” con il mullā stesso!
In seguito, nella successiva visita in Iran durante la crisi degli ostaggi per tentare di intervistare Bani Sadr, le fu impedito di uscire dall’albergo dai Basiji; riuscì a rientrare in Italia solo grazie all’intervento di Ingrid Bergaman e dell’allora presidente Sandro Pertini.
Gli anni 70 la vedono impegnata in prima persona nelle lotte femministe, mentre nel 1990 uscì Insciallah in cui la scrittrice coniuga la ribalta internazionale con il racconto.
Dopo l’uscita del libro, si isolò andando a vivere a New York, in un villino a Manhattan, dove incominciò a scrivere un romanzo intitolato Un cappello pieno di ciliegie, la cui lavorazione, durata per tutti gli anni novanta, venne interrotta dai fatti dell’11 settembre 2001.
I suoi libri e articoli sulle tematiche dell’11 settembre hanno suscitato sia elogi sia contestazioni nel mondo politico e nell’opinione pubblica.
In seguito criticò duramente i soldati statunitensi responsabili delle torture nella prigione di Abu Ghraib.
Nel marzo 2005 il quotidiano Libero lanciò una raccolta di firme affinché il Presidente della Repubblica conferisse alla Fallaci il titolo di senatrice a vita. Vennero raccolte oltre 75.000 firme.
La Fallaci morì a Firenze il 15 settembre 2006 a 77 anni per un cancro ai polmoni che da anni l’aveva colpita e da lei definito l’alieno.
Oggi è sepolta nel cimitero degli Allori, di rito evangelico, ma che ospita anche tombe di atei (come lei), musulmani ed ebrei, a Firenze nel quartiere del Galluzzo, nella tomba di famiglia accanto a un cippo commemorativo di Alekos Panagulis, suo compagno di vita. Con la bara sono stati sepolti una copia del Corriere della Sera, tre rose gialle e un Fiorino d’oro (premio che la città di Firenze, con grandi polemiche, non aveva voluto conferirle), donatole da Franco Zeffirelli.
Per sua espressa volontà, larga parte del suo grande patrimonio librario è stato donato, insieme con altri cimeli come lo zaino usato dalla scrittrice in Vietnam, alla Pontificia Università Lateranense di Roma, il cui rettore era allora monsignor Rino Fisichella, amico personale della scrittrice, che le stette vicino in punto di morte.
(Le notizie che ho riportato sono state attinte da Wikipedia.)


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