A Casa di Lucia | WILLIAM SHAKESPEARE
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WILLIAM SHAKESPEARE

Oggi vi parlerò del poeta dell’amore per eccellenza: William Shakespeare

Chi non lo conosce? Lo avrete letto ovunque, a partire dai messaggi sui bigliettini contenuti nei famosi cioccolatini: è sicuramente il protagonista assoluto di lettere d’amore, pensieri, concetti e opere, tantissime opere teatrali, prima tra tutte “Romeo e Giulietta”, il simbolo degli innamorati. 

William Shakespeare, soprannominato il “Bardo dell’Avon” (o semplicemente “Il Bardo”) oppure il “Cigno dell’Avon” è tuttora considerato il più importante scrittore inglese e il più eminente drammaturgo e poeta della cultura occidentale, eccellente sia nella tragedia che nella commedia, sia nella prosa che nella poesia.

Nonostante sia vissuto nel lontano periodo tra il 1564 e il 1616, la sua poetica e le sue opere sono ancora oggetto di studio e di attenzione da parte del pubblico, non solo britannico: è lo scrittore maggiormente citato nella storia della letteratura inglese e molte delle sue espressioni linguistiche sono entrate nell’uso quotidiano non solo a livello locale ma mondiale, considerato che le sue opere sono state tradotte in tutte le maggiori lingue del mondo. Gli è stato dedicato addirittura un asteroide: 2985 Shakespeare.

Orbene, nonostante le opere di Shakespeare siano oggetto di così tanta attenzione ed approfondimento, ben poco si sa della sua biografia, vista la scarsità di documenti pervenuti sulla sua vita privata. 

Tuttavia sono state formulate numerosissime congetture sul suo aspetto fisico, la sua sessualità, il suo credo religioso e persino sull’attribuzione delle sue opere. Addirittura, il periodo che va dal 1585 al 1592 è definito dagli studiosi come “lost years” (anni perduti): si tratta di un arco temporale durante il quale non si rinviene nessuna traccia della biografia di Shakespeare, del quale l’unica notizia certa è che aveva avuto due gemelli, di cui risulta la registrazione della data di nascita.

Questo aspetto ha certamente contribuito alla nascita di numerose supposizioni, per lo più fantasie e dicerie, tra cui la fuga da Londra per un’accusa di caccia di frodo di un cervo di proprietà di un signorotto locale oppure l’ipotesi di un avvio della carriera teatrale come scudiero dei cavalli dei clienti dei teatri di Londinesi o, anche, che sia stato assunto in quel periodo come insegnante privato presso una famiglia nobile. Potrebbe essere il periodo in cui, grazie a tutte queste esperienze, ha conosciuto “la strada” intesa in senso metaforico, cioè quella che gli ha fornito l’esperienza necessaria per acquisire saggezza e conoscenza? Ad ogni modo, quasi tutte le ipotesi non sono state provate e, forse, proprio questo alone di mistero ha contribuito ad aumentare ulteriormente l’unicità di questo personaggio. 

Sicuramente possiamo dire che Shakespeare visse fra il XVI e il XVII secolo, in un periodo in cui si stava realizzando il passaggio dalla società medievale al mondo moderno. Nel 1558 sul trono del regno era salita Elisabetta I d’Inghilterra, che diede vita ad un periodo di fioritura artistica e culturale che da lei prese il nome. 

Sappiamo, inoltre, che il padre John era un acconciatore di pelli, la cui fortuna aumentò notevolmente con l’acquisto di una proprietà fondiaria e della casa natale di William, in concomitanza anche con una brillante carriera politica che culminò con l’acquisizione della carica più importante della città, cioè quella di Balivo. La madre Mary Arden, invece, era la figlia prediletta del ricco agricoltore Robert Arden e a sua volta proprietaria di una ricca tenuta. John Shakespeare aveva l’ambizione di acquistare uno stemma araldico, cosa che gli fu negata nonostante il rilievo sociale conseguito. Tuttavia questo dono alla famiglia lo farà, in futuro, proprio William, grazie al riconoscimento letterario conseguito con il successo delle sue opere: “Non senza diritto” fu il motto scelto per la famiglia Shakespeare.

William Shakespeare, dunque, nacque nella ricchezza, nel prestigio e nel benessere, ad eccezione del periodo tra il 1570 e il 1590, in cui il padre ebbe problemi di natura finanziaria, che portarono alla fine della sua carriera pubblica e alla vendita di alcuni possedimenti.

Conobbe la peste, dalla quale fu risparmiato e della quale scrisse, e sembra che abbia studiato in un istituto per soli maschi a circa 400 km da casa, dove avrebbe avuto modo di apprendere il latino e i classici della letteratura, studiando per sei giorni alla settimana da mattino a sera e dove sembra sia stato sottoposto a frequenti punizioni corporali (come del resto era abitudine educativa dell’epoca). Non risulta nessuna sua eventuale formazione universitaria, benché risulti che il Bardo fosse molto apprezzato dall’ambiente universitario.

Certe informazioni sulla vita del poeta si ricavano anche da alcune sue opere. Ad esempio, sembra che abbia lavorato nel negozio di pellame del padre, dato che dimostra una profonda conoscenza della lavorazione delle pelli. 

Interessante è il legame con una coppia di amici Hamlet e Judith Sadler, in onore dei quali Shakespeare diede il loro nome ai figli; i Sadler, a loro volta, battezzarono il proprio figliolo con il nome William. Si noti che Hamlet è anche il nome di una delle sue opere più famose: “Amleto”.

Diversi documenti ci informano che il maggior successo di Shakespeare intervenne nel periodo compreso tra il 1588 e il 1613. La fama delle opere di Shakespeare era in tale ascesa che si attirò le gelosie dei colleghi più anziani, tra cui Robert Greene, di cui ricordiamo la celebre invettiva che sembrerebbe rivolta proprio a Shakespeare: 

«Un corvo parvenu, abbellito dalle nostre piume, che con la sua Arte di tigre nascosta da un corpo d’attore ritiene d’essere capace quanto il migliore di voi di tuonare in pentametri giambici; ed essendo un Giovanni Factotum, è secondo il suo giudizio l’unico ‘Scuoti-scene’ del paese.»

Beh… direi che se uno scrittore, sicuramente famoso per la sua epoca come Greene, ebbe la necessità di denigrarlo per poi rimanere all’ombra del primo, doveva avere proprio un bel complesso di inferiorità quando ha scritto il suo sonetto!

Al contrario, Shakespeare non si fece scalfire da tale attacco, dimostrando, come testimoniò Chette, la “rettitudine della sua condotta, che attesta della sua onestà, e della sua grazia arguta nello scrivere, che depone bene sulla sua arte”.

Sarà questo il perfetto equilibrio del romanziere che lui rappresenta e di cui parlerà due secoli dopo Virginia Woolf? E sarà questa una delle tante capacità del Bardo per conoscere l’amore eterno e saperne parlare sia agli uomini che alle donne?

O la ragione è da rinvenire in altro? Deriva dall’equilibrio della famiglia? Dall’amore per Anna, con cui rimase legato tutta la vita? O anche da amicizie profonde come quella con il conte di Southampton?

Sappiamo infatti che negli anni 1593-94, a causa di un’epidemia di peste, i teatri inglesi rimasero chiusi e Shakespeare, in questo periodo, pubblicò due poemetti, “Venere e Adone” e “Il ratto di Lucrezia”. Entrambi i poemetti sono dedicati a Henry Wriothesley, III conte di Southampton, all’epoca diciannovenne, sulla cui amicizia con l’autore sono state fatte molte speculazioni (secondo alcuni commentatori il conte di Southampton sarebbe il misterioso “W.H.” destinatario dei sonetti).

Con la fine della peste, nell’autunno del 1594, finalmente riaprirono i teatri di Londra e Shakespeare potè unirsi alla compagnia teatrale chiamata The Lord Chamberlain’s Men (I servi del Lord Ciambellano), nella quale recitò anche come attore e di cui diverrà azionista proprio grazie al grande successo delle sue opere. I successi furono tali che, dopo la morte di Elisabetta I, il nuovo monarca la adottasse, dandole il titolo di King’s Men (“Gli uomini del re”).

Shakespeare acquisì un’enorme ricchezza, che profuse anche per il bene della collettività: nella sua città natale, Stratford, “Mr. Shakespeare” figura sulla lista dei contribuenti che devono pagare l’imposta per la manutenzione delle strade reali; firmò una petizione dei cittadini di Stratford che chiedeva alla Camera dei Comuni di riparare le strade maestre. 

A partire dal 1613 Shakespeare non produsse più alcunché e si ritirò a vita privata fino alla sua morte, che sarebbe avvenuta 3 anni dopo, all’età di 52 anni. 

Avrete capito che le opere di William Shakespeare, oltre ad avere un pregio letterario immenso, sono anche tantissime. Esse meriterebbero tutte di essere conosciute e approfondite. Mi limito umilmente, o pigramente se volete, a darvi l’input per conoscerle tutte con una veloce carrellata delle sole opere teatrali.

Possiamo dividerle in quattro fasi.

La prima dal 1588 al 1605 circa, è la fase di “tirocinio”, in cui sperimenta i vari tipi di drammi in voga al tempo: il dramma storico (Re Enrico VI, parti I, II, III), la tragedia senechiana (Tito Andronico), la farsa plautina (La commedia degli equivoci), la commedia di carattere (La bisbetica domata), la commedia cortese (I due gentiluomini di Verona, Pene d’amor perdute). Già in questa fase scrive i primi capolavori: Romeo e Giulietta e Sogno di una notte di mezza estate.

La seconda fase dal 1595 al 1600 circa è occupata essenzialmente dal dramma storico (Re Enrico IV, parte I e II) e dalla commedia. L’interesse per il dramma storico deriva probabilmente dall’ondata di nazionalismo che travolse l’Inghilterra dopo che Elisabetta sconfisse l’Armada spagnola. Ma la parte migliore di questa fase è data dalle commedie, come Molto rumore per nulla, La dodicesima notte, Come vi piace.

La terza fase (che copre il periodo dal 1600 al 1608 circa) è la fase dello Shakespeare maggiore, autore delle grandi tragedie, cupe e violente, come Amleto, Otello, Macbeth. I temi divengono quelli dell’odio, della vendetta, della gelosia, dell’ambizione sfrenata. In questo periodo anche le commedie (Tutto è bene quel che finisce bene o Misura per misura) si tingono di fosco e di sanguigno. Chissà se su questa cupezza possa avere inciso la morte di Hamlet nel 1596 e dei due fratelli.

La quarta fase, infine, (1608-1613 circa) è caratterizzata dal ritorno al dramma romanzesco, e ad un clima di serenità e indulgenza. Prevale nel poeta, rispetto agli anni precedenti, la fiducia nella bontà umana (La tempesta).



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