A Casa di Lucia | L’ORIGINE DEI SALOTTI LETTERARI
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L’ORIGINE DEI SALOTTI LETTERARI

Secondo uno scritto del 1825 di Fontenelle, un salotto letterario è “il luogo dove le persone amano trovarsi per conversare piacevolmente“.
Ma torniamo indietro nel tempo, superiamo secoli e secoli di guerre, popoli e tradizioni: una quantità di anni così grande che ci riporta ai greci.
A quei tempi, infatti, esisteva il symposion, una tavola imbandita intorno alla quale si decantavano versi e si svolgevano discussioni di varia natura, includendo arte, letteratura, filosofia e politica. Il Simposio di Platone ne è un fulgido esempio.
Si passa per la Roma imperiale, quella in cui Mecenate sosteneva, anche economicamente, i maggiori poeti dell’epoca come Virgilio e Orazio.
Arriviamo al Medioevo e al Rinascimento, dove tutto era divenuto un intrattenimento della nobiltà, in ambienti privilegiati come ville, castelli e monasteri. Durante l’Umanesimo si cominciò a parlare di sodalitates litterarum o di contubernales: null’altro che salotti letterari che riuscirono, in particolare, ad attivare l’espansione culturale fuori dalle università o dagli ambienti religiosi, cominciando a sdoganare, di fatto, la cultura. Iniziarono a diffondersi, infatti, salotti di editori o dedicati alla poesia, allargando il raggio di partecipazione verso tipologie di persone differenti e di altro rango. Nacquero così le accademie che, durante l’Illuminismo, vennero finalizzate al sapere; un sapere che diventò, così, più “borghese”, tant’è che le riunioni cominciarono a svolgersi anche in case private. Fu proprio in quel periodo che si affermò la figura dell’organizzatore o dell’anfitrione, che spesso era una donna, assolutamente lontana dall’ambiente laico o ecclesiastico dell’alta società.
Già nel Seicento, pensiamo agli incontri tenuti nell’Hôtel de Rambouillet, residenza di Catherine de Vivonne marchesa de Rambouillet la quale aprì il primo famoso salotto letterario; ma soprattutto nel Settecento, per motivi legati a una maggiore emancipazione della figura femminile la donna, in particolare a Parigi, era la principale organizzatrice dei salotti letterari. Il salotto letterario rafforzava l’emancipazione della donna, di condizione agiata, aristocratica o borghese, che rifiutava la classica posizione di passività, nel ruolo, rispetto all’uomo.
I salotti letterari francesi, parigini su tutti, primeggiarono per fama, poichè vi partecipavano, spesso, personalità di spicco attraverso le quali filtravano le discussioni e si forgiavano nuove correnti di pensiero; nacque così l’idea di salotto letterario moderno, che ci accompagna ancora oggi.
Caduti un po’ in disuso, con l’avvento delle nuove forme di comunicazione, i salotti letterari sono tornati da qualche decennio in voga. Restano immutate, in ogni epoca, alcune specificità come il carattere libero e volontario dell’incontro nonché le affinità socio-culturali. A parte l’istituzionalizzazione di alcuni circoli, riconosciuti anche giuridicamente, essi infatti hanno sostanzialmente conservato una natura extra-istituzionale, ubicandosi in case private o presso attività commerciali, caffè e trattorie. Un famoso salotto letterario, ad esempio, fu quello detto cameretta, cui partecipavano Manzoni, Grossi, Berchet, o la trattoria in via Bagutta, a Milano, in cui si ritrovavano nel 1926 Riccardo Bacchelli, Adolfo Franci, Orio Vergani e Mario Soldati.
Anche a Napoli letterati e artisti hanno sempre amato riunirsi in case, locali o librerie per argomentare dinanzi a un buon caffè ogni sorta di tema culturale, dalle sedute spiritistiche alle disquisizioni filosofiche, dall’ultimo libro ai temi di attualità. Nel Salotto di Donna Elvira tenuto per più di dieci anni nella sua villa di Posillipo, ci si riuniva ogni martedì e tra i partecipanti c’erano Émile Zola, Giosuè Carducci e Giovanni Pascoli, mentre un giovanissimo Benedetto Croce si poteva incontrare nel cenacolo letterario di Riccardo ed Enrichetta Carafa D’Andria.
L’elenco dei salotti letterari odierni è lunghissimo e cresce in maniera esponenziale, dimostrando che il diffuso dibattito sul web non soddisfa del tutto le esigenze del pubblico dei lettori e neppure quello degli autori. Se, dunque, è vero che le nostre abitudini di lettura e d’interazione stanno cambiando, gli ultimi dati statistici sembrano smentire l’affermazione di Luca Sofri secondo il quale il libro non è più l’elemento centrale della costruzione della cultura contemporanea. Ne consegue che anche il confronto personale e la discussione diretta restano momenti di profonda e insostituibile crescita individuale che nessuno strumento di espressione digitale riesce ancora a surrogare poiché essi rappresentano un bisogno antropologico insopprimibile. C’è la speranza, dunque, di recuperare attraverso il dialogo, con lo stare gli uni di fronte agli altri, il rispetto reciproco, il dovere di esporre se stessi alla forza e al rigore del ragionamento.


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