A Casa di Lucia | FLAVIA PANTALEO PASSIONE TRA GASTRONOMIA E STORIA
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FLAVIA PANTALEO PASSIONE TRA GASTRONOMIA E STORIA

La scelta di Flavia Pantaleo: lasciare l’insegnamento universitario per diventare chef e riscoprire le proprie radici.

Flavia Pantaleo, nata a Napoli, dopo la laurea in Scienze Politiche a L’Orientale di Napoli, partì per Bruxelles con una borsa di studio del Cnr in Diritto Comunitario. Lì conobbe un ragazzo napoletano, il suo futuro marito, che stava intraprendendo la carriera diplomatica. Dopo il matrimonio trascorsero molti anni in giro per il mondo: Roma, Il Cairo, Stati Uniti, Francia. Esperienze che l’hanno portata a contatto, oltre che con culture diverse, anche con diverse tradizioni gastronomiche.  Nel 2002 tornò a vivere a Roma, con marito e figli, e iniziò l’insegnamento come docente di Diritto dell’Unione europea, nel dipartimento di Diritto pubblico della facoltà di Economia e Commercio, alla Sapienza.

Poi la scelta…da una dozzina di anni gastronomia e storia sono diventate il suo lavoro: chef, anche se ama definirsi cuoca, pioniera dell’home restaurant e delle cene a domiciliodocente di cucina per gruppi di curiosi o per turisti.

Racconta, in un’intervista rilasciata al quotidiano Il Foglio, che la nonna paterna Maria, nata alla fine dell’Ottocento non si sporcava le mani, ma in cucina impartiva istruzioni alla domestica e la sorvegliava. Lei bambina assisteva a quelle scene indimenticabili.

La cucina che predilige è quella napoletana, con molte contaminazioni francesi. Ha sempre amato la storia celata nelle varie pietanze e anche le storie familiari. La sua arriva dal quadro di una trisavola francese che si chiamava Émilie: il suo ritratto lo portò con sé, come portafortuna, in tutte le sedi diplomatiche dove abitò, finché a Parigi, per caso, un antiquario individuò la firma del pittore. Decise allora, di iniziare la ricerca negli archivi parigini, riuscì a recuperare il testamento e ricostruire la storia di Émilie. Nata nel 1832, sposò in seconde nozze, nel 1870, un Caracciolo, esule napoletano a Parigi al seguito di Francesco II di Borbone, e ormai sui quarant’anni gli diede due figli. La primogenita era la sua bisnonna. Si trasferirono a Napoli, ma la memoria culinaria francese rimase e contagiò anche il lato materno della famiglia di Flavia.

La frase “Ho fatto un pasticcio” non sempre in cucina è sinonimo di un lavoro mal fatto, ma al contrario può voler indicare la preparazione di un cibo assai saporito e alle volte molto ricercato. È quanto ha dichiarato Flavia Pantaleo in relazione al suo libro La cucina dei pasticci e dei timballi. “Il nome timpano o timballo deriva sicuramente dallo stampo che in origine era semplicemente un contenitore cilindrico con il diametro uguale all’altezza, ma anche da timpano cappello, a rafforzarne la forma e il contenuto. I pasticci e timballi erano già presenti nella tradizione gastro­nomica rinascimentale: il passaggio dal Medioevo al Rinasci­mento ha sublimato la tavola quale spettacolo per la vista e per il palato. Il pasticcio ha origini ancora più antiche. Le prime tracce di questo tipo di preparazione risalgono infatti all’antica Roma”.

Chi va al suo “home restaurant”chiede soprattutto un’esperienza. Gli americani sono i più entusiasti di cimentarsi nella cucina di una casa italiana, e sono anche i più numerosi. I più colti domandano la genesi di ogni piatto. Il cibo è un veicolo per condividere emozioni semplici anche tra sconosciuti. Diplomazia pura.

 

 



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