A Casa di Lucia | LA BUONA NOVELLA
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LA BUONA NOVELLA

“Non fossi stato figlio di Dio

T’avrei ancora per figlio mio”

Sono queste le parole del dolore di una madre, una donna che si vede strappato dal petto il figlio adorato. E questa non è una madre qualunque: a parlare, con strazio e, quasi, risentimento, è Maria, Madonna e madre di Gesù Cristo, mentre ai piedi della croce assiste impotente alla morte del figlio.

Ed è Fabrizio De Andrè a far pronunciare a Maria queste parole così dolorose, eppure così reali e verosimili.

È il 1969, nel pieno del movimento studentesco, quando Faber sceglie di mettere in musica la vita e le parole di colui che, più di un millennio prima, era stato il più grande rivoluzionario che la storia abbia mai conosciuto.

L’album prende spunto dai Vangeli Apocrifi (i Vangeli Falsi, nel senso che non sono stati riconosciuti dalla Chiesa come Parola di Dio), che raccontano la storia che tutti almeno una volta nella vita abbiamo ascoltato, solo che il punto di vista non è quello di un narratore esterno che sublima personaggi ed emozioni: la storia è raccontata secondo la prospettiva di protagonisti molto umani.

L’album è fra i più belli che siano stati mai pubblicati nell’intero panorama della musica italiana e attraversa l’intera vita di Gesù, partendo da L’infanzia di Maria, quando la piccola viene allontanata dal tempio quando ha le prime mestruazioni (“ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio, la tua verginità che si tingeva di rosso”) e data in sposa al falegname Giuseppe (“la diedero in sposa a dita troppo secche per chiudersi su una rosa”), che la sposa per dovere e che la deve poi lasciare da sola per quattro anni per motivi di lavoro.

Ne Il sogno di Maria, l’angelo che usava farle visita quando era al Tempio la porta in volo lontano “là dove il giorno si perde”: lì le dà la notizia della futura nascita di un bimbo. Il testo allude ad un concepimento più terreno di quello raccontato dai vangeli canonici. Al risveglio Maria capisce di essere incinta (“parole confuse nella mia mente, svanite in un sogno ma impresse nel ventre”) e si scioglie in pianto.

L’atmosfera si fa poi cupa e carica di pathos in Maria nella bottega d’un falegname: il fren-fren della pialla e il den-den del martello del falegname scandiscono un ritmo crescente mentre il falegname stesso racconta a Maria che sta costruendo tre croci, due per chi disertò per rubare, la più grande per chi la guerra insegnò a disertare.

Via della croce è una delle canzoni in cui De André lascia trasparire i suoi pensieri e i suoi sentimenti anarchici: “il potere vestito d’umana sembianza ormai ti considera morto abbastanza”. Il testo narra del percorso compiuto da Gesù per arrivare nel luogo della crocifissione.

Altra traccia dell’album particolarmente toccante è Tre madri: Maria è in compagnia della madri dei due ladroni crocifissi con il proprio figlio. Ciascuna piange il proprio sangue versato, ma a Maria tocca il rimbrotto delle altre che la apostrofano dicendo: “Sai che alla vita, nel terzo giorno, il figlio tuo farà ritorno. Lascia a noi piangere un po’ più forte chi non risorgerà più dalla morte”. A Maria, ora, non resta che struggersi in un rimpianto: “Non fossi stato figlio di Dio, t’avrei ancora per figlio mio”.

Oltre a quelle espressamente citate, l’album contiene altre tracce, altrettanto belle e struggenti: filo conduttore, come già accennato, è l’umanità dei protagonisti, che si trovano a vivere una storia troppo grande per loro e che, per questo, sembrano perdere tutta la loro divinità.

Ne Il testamento di Tito vengono invece elencati i dieci comandamenti, analizzati dall’inedito punto di vista del già citato Tito. Per quanto riguarda la musica, la prima strofa comincia semplicemente con la voce ed un leggero accompagnamento con la chitarra: vi è poi una climax musicale, ricca di strumenti e di accompagnamenti, che culmina nell’ultima strofa. A riguardo del brano, De André dichiarò: “È, insieme ad Amico fragile, la mia miglior canzone. Dà un’idea di come potrebbero cambiare le leggi se fossero scritte da chi il potere non ce l’ha. È un altro di quei pezzi scritti col cuore, senza paura di apparire retorici, che riesco a cantare ancora oggi, senza stancarmene.” 

Michele Maisano, uno dei cantanti italiani più famosi degli anni sessanta, e per qualche tempo uno dei migliori amici di De André, che lo aveva conosciuto alla Ricordi, nel 1963 ricordava: “Fabrizio scrisse il Testamento di Tito canticchiandolo sulla famosa Blowin’ in the wind di Bob Dylan; il problema era quindi comporre una musica che rispecchiasse quello spirito ma con una matrice un po’ più italiana. Ci siamo quindi messi al lavoro io e Corrado Castellari, allora il mio autore preferito, ed è venuta fuori la musica del Testamento di Tito. La parte più bella l’ha composta Castellari.”

L’opera termina con una sorta di canto liturgico (Laudate hominem), che incita a lodare l’uomo non in quanto figlio di un dio, ma in quanto figlio di un altro uomo, quindi fratello.

Un’opera attuale e molto forte emotivamente da ascoltare e riascoltare, una lezione che ancora oggi dovremmo cercare di diffondere e far nostra.



× Ciao!